Rezensionen

Bernard Struchen: la vita in tre dimensioni.

da Redazione ACP | 21 Agosto 2015

Intervista di Massimo Daviddi

Die Mollige, 2010

©ProLitteris

In via Nessi a Locarno, negli atelier che furono di Remo Rossi e prima ancora del padre Ettore, l’arte si ricollega al senso della vita quotidiana, al suo fluire; lo scultore, in quella che era Via dei Marmi ha lavorato molto costruendo una comunità di artisti che oggi, almeno in parte, opera ancora in questi spazi ricchi di storia, incontri e avvenimenti.

Bernard Struchen, (bernardstruchen@gmail.com)  è uno di questi; nato a Zurigo nel 1945, illustratore di libri scientifici e anche di campagne pubblicitarie, docente alla Kantonsschule di Coira e alla Volkshochschule di Zurigo – disegno, composizione, tecnica dell’acquerello – con esperienze plurime: citiamo tra le tante il lavoro presso il Museo di Storia Naturale Goulandris a Kifissia, quello presso l’atelier di Joachim Dierauer a Coira e l’atelier di Birgit Hurst a Locarno . Riconoscimenti ottenuti tra USA, Germania e Svizzera, partendo dal 1971, fino alla mostra alla rassegna Monte Arte, Valle di Muggio, del 2014, per ‘Ultima cena’.

Lo incontriamo nell’atelier di via Nessi insieme alla sua compagna, Wanda Zurini, narratrice, di storie popolari.

Cosa vuol dire, per lei, lavorare qui?

 “Per me è una grande opportunità; è un posto storico, ricordo solo Jean Arp tra le diverse figure che hanno animato i luoghi. C’è un’atmosfera che si sente e risuona nei locali: la cosa che mi ha interessato e mi interessa ancora è la tridimensionalità degli oggetti e questo deriva dalla mia professione di illustratore scientifico”.

Nel suo lavoro, c’era un già un segno per quello che poi è diventato un percorso artistico definito? 

“Le forme sono tutta la mia vita, anche le cose fatte prima, da giovane; ricordo a esempio il lavoro estivo da contadini. Questo suscitava in me un’emozione per l’essenza della terra, la frutta, l’umido, i movimenti. Le forme naturali, insomma; doveva essere una base, un punto di partenza”.

Die Magere, 2003

Foto: Daniel R. Ammann

©ProLitteris

I primi passi della sua esperienza artistica?  

“A vent’anni ho collaborato con Hürlimann alla realizzazione di una scultura intitolata ‘Das Wolkenschiff’; importante per la mia crescita è stato soprattutto Karl Schmid, che insegnava disegno scientifico presso la Kunstgewerbeschule di Zurigo, l’attuale Zürcher Hochschule der Künste (zHdK). Sono stato suo allievo e assistente. Ho collaborato alla realizzazione delle sue opere. Grazie a Karl Schmid ho conosciuto Gottfried Honegger, artista geometrico. Quando non avevo corsi lavoravo al mattino da Gottfried Honegger e al pomeriggio da Karl Schmid. Entrambe avevano un atelier a Gockhausen (ZH). Karl Schmid da giovane era falegname di professione. Jean Arp lo aveva incaricato di realizzare alcuni schizzi in legno . Io l’ho aiutato a svolgere questo lavoro. 

Il lavoro d’illustratore continuava?  

“Si’. Ho lavorato a Basilea per il botanico Paul Allen. Poi ho collaborato con altri illustratori scientifici alla realizzazione dell’opera ‘Unkrauttafelwerk’ edita dalla Ciba-Geigy, un lavoro che è durato sette anni. Sono stato anche in Grecia e in Persia. . Quando ho fatto la formazione per diventare docente di disegno a Zurigo ho conosciuto Hans Bach, scultore in legno, che a quei tempi era anche professore presso la HGKZ . Con lui sono stato a Peccia dove ho eseguito il mio primo lavoro ‘Torso’, è una pancia con il marmo di Peccia, un po’ piu’ grigio rispetto al marmo di Carrara, più duro, ed era un resto. Ho visto la forma dentro questo sasso senza che ci fosse prima uno schizzo; l’idea è nata dalla materia”.

L’interesse per più materiali. 

“A Coira, facevo piccole cose in ceramica e terra cotta, tridimensionali, piccole sculture, oggetti; nel 2010 ho lasciato Coira per Locarno”. Ha trovato subito l’atelier? “Per me era indispensabile, potere avere un posto per lavorare. Wanda mi ha aiutato, siamo arrivati qui, abbiamo dovuto ripulire, mettere la luce, le cose principali per iniziare”.

Materiali diversi; pietra, legno, ferro.

 “Mi piace lavorare con il legno e il sasso: torno allo sguardo che avevo da giovane, verso la terra, le cose naturali”. Elementi vivi. “Una volta non c’era la plastica, solo legno, i metalli, sasso, terra cotta; assorbo le cose che stanno intorno a me. Quando facevo l’illustratore ero interessato ai diversi settori di questo lavoro, non solo a uno e in genere sono curioso della pluralità delle cose che stanno nella vita. Rispetto all’illustrazione, che è stata la mia scuola, oggi sono libero, devo vedere la forza, il movimento nella materia”.

I quattro passi della forchetta, 2014

©ProLitteris

Lo vediamo bene in un lavoro forte, evocativo, scaturito da un momento complesso della sua vita: una piccola scultura in argilla ‘Der Boxer’, un boxeur senza gambe. “Non puo’ camminare, è tra sogno e tristezza: questa forma mi interessa perché c’è una forza diretta, un’espressività che il corpo assume, la schiena incavata, l’energia.

‘Die abwartende Kraft’ (Forza in attesa) un’istallazione. Qualcosa che è in divenire. La forza aspetta che tutto il resto venga meno”. Quello a cui Bernhard Struchen volge l’attenzione, è il gioco e il linguaggio delle forme, quelle che sono e che possono essere mettendole in un dialogo costante tra loro, intuendo il flusso ancor prima di disegnare.

L’interesse, guardando i suoi lavori, è anche per i materiali, gli oggetti, dimenticati. 

“I vecchi materiali si possono trasformare, hanno a volte forme architettoniche e con la ripetizione si sviluppano delle linee, delle cose nuove. Tutto quello che è espressivo, è nel mio interesse: anche le sequenze. Vediamo qui, ‘Tre ciechi guidati da un cieco ’, la trasformazione di un quadro di Brueghel in un’istallazione. Sono ciechi guidati da un matto, un paradosso che a me pare sia uno stimolo, una provocazione. Una metafora sul nostro tempo: dove andiamo, chi ci guida?”.

Si muove tra informale e figurativo: 

“E’ il caso, il momento, che porta a una scelta. Ho incontrato una donna a Coira e mi ha colpito, come quest’altra che lavorava in un negozio di alimentari in Spagna, dove ci sono dei prosciutti; qui il colore è fatto come i vecchi quadri e una parte del volto è scura, la bocca semiaperta. Una parte non conosciuta”.

Un teatro aperto, straordinariamente vivo fatto di materie povere e naturali: dimenticate e rivitalizzate. Non una sola dimensione, tre, forse di piu’: il carattere di Bernhard, le sue intuizioni, i luoghi, la vita. Espressivo, intenso.

Susanna e i Vecchioni, Bernhard Struchen

di Ilaria Filardi, storica dell’arte, collaboratrice scientifica Fondazione Remo Rossi Locarno

Susanna und die Ältesten, 2014

Foto: Daniel R. Ammann

©ProLitteris

L’opera dello scultore Bernhard Struchen è un continuo dialogare tra l’idea e la materia che egli sviluppa con ironia e incessante inventiva. Molte sue creazioni nascono da un tipo di lavorazione che non è diretta, bensì istintiva. La materia induce l’artista a trattarla e trasformarla mediante l’ispirazione del suo subconscio. Solo così risultano linee, ritmo e forme che piano piano s’intrecciano tra loro dando vita all’idea che a sua volta produce il risultato finale. Analizzando l’opera “Susanna e i Vecchioni” si può osservare come la materia sia stata plasmata secondo linee sensuali e morbide che riproducono l’idea del corpo femminile della figura di Susanna. La storia di Susanna e i Vecchioni è stata oggetto di tante riproduzioni artistiche nel passato e Bernhard Struchen attraverso il suo tocco metafisico la rende attuale. La casta Susanna viene sorpresa da due vecchi mentre ella fa il bagno in uno stagno. La nudità della donna viene rappresentata dal nostro artista attraverso la terracotta spoglia ed essenziale. La giovane Susanna viene avvicinata da due vecchi magistrati che invaghiti di lei la ricattano: se la donna non si concederà ai loro desideri essi la accuseranno di adulterio spifferando il tutto al di lei marito. La poveretta disperata si mette ad urlare ma così facendo i due anziani la accusano di tradimento costringendola ad un processo che si sarebbe concluso con la pena di morte della stessa fanciulla. Durante il processo però appare Daniele che convinto dell’innocenza di Susanna riesce a salvarla condannando a morte i due vecchi. Struchen rappresenta l’atto della costrizione sessuale dei vecchi disegnando una mano su una parte della materia dell’opera. Il corpo di Susanna viene così intrappolato dalla presa dei vecchi e l’armonia sinuosa della ragazza viene spezzata nella parte centrale della scultura. Si crea un punto di rottura che però si svela essere un nucleo nel quale si concentrano tutte le forze e in cui l’intera percezione dello sguardo dell’osservatore si focalizza. Bernhard Struchen attraverso quest’opera svela il punto di forza della sua arte: attraverso una metafora egli racconta una storia, ma senza aver bisogno di dettagli ed elementi descrittivi. A lui basta mescolare ritmo, curiosità, musicalità, equilibrio, naturalezza e riduzione delle forme per creare una poesia nella scultura.

Edoardo Kleinstein, storico dell’arte, assistente di direzione Fondazione Beyeler

Si nota una minuziosa e sfaccettata ricerca delle principali correnti d’arte della modernità, dando comunque una propria interpretazione agli stili. Quasi come se Bernhard fosse una figura fra l’artista e lo storico dell’arte.

Colpisce l’incredibile capacità tecnica di manipolare i materiali: dalle sculture che fanno l’occhiolino all’opera di Hans Arp, ad una pittura pop, realista, cubista, fino ai paesaggi onirici di Henri Rousseau. 

Si tratta di un artista estremamente polivalente. Il suo non è certamente un esercizio di stile, bensì una selezione mirata a voler rappresentare le cose con il loro mezzo più adeguato.